violenza sulle donne: un virus che non ha vaccino

Anche quest’anno il 25 Novembre si è svolta la Giornata contro la violenza sulla donne e di genere. Come ogni anno in questa occasione si aggiorna il drammatico conto delle vittime di una pandemia che non ha vaccino. Tante sono le scintille di un cambio culturale, ma senza una vera rivoluzione che scardini tutti i sintomi di una ideologia maschilista fossilizzata, non ci sarà purtroppo una vera inversione di tendenza.

Il 2020 però ha segnato un passo avanti. Per la prima volta si è posto l’accento sull’importanza dell’atteggiamento, del linguaggio, della cultura che accompagna le denunce da parte delle donne vittime. Si è parlato non solo di omicidi o ferimenti, ma di forme più sottili di violenza come revenge porn e victim blaming.

Tre sono stati i momenti che in questo senso mi hanno colpito:

L’episodio della maestra di Torino licenziata perché l’ex fidanzato ha diffuso delle sue foto intime. Per la prima volta si è portato l’accento sul revenge porn come reato. A dare visibilità alla necessità di un cambio culturale hanno contribuito due volti noti che hanno scelto Instagram per denunciare un mancato supporto alla vittima:

  • Essere donna nel 2020”. Questo è il titolo del video di dieci minuti con cui Chiara Ferragni ha parlato  di parole come revenge porn, slut shaming, victim blaming mostrando come sia davvero ora che il silenzio, i pregiudizi, o la finta goliardia lascino posto alla serietà. Le va riconosciuto di essere uno dei pochi “mass media” che ha voluto  dare una visibilità forte e scandalizzata al tema della violenza fisica e culturale sulle donne. Chapeau.
  • Marchisio ha pubblicato un post a difesa della maestra che ha ottenuto in poche ore quasi 70 mila like.

L’episodio dello stupro di una diciottenne alla festa di Genovese. Anche in questo caso si è assistito a una brutalità culturale da parte di media che hanno fomentato uno storytelling che vede la donna sempre in colpa. Come ricorda la scrittrice Francesca Cavallo, la narrazione attorno ai fenomeni di violenza vede le donne sempre come non protagoniste della propria violenza: c’è sempre la storia del violentatore da raccontare, giustificare, interpretare mentre ci si scorda di dare luca al reato che è stato commesso contro la volontà di una donna. In questo senso da ricordare come un presunto giornalista, Vittorio Feltri, abbia scritto  un articolo aberrante pieno di un lessico sessista e volgare in cui la ragazza appare come una ingenua che se l’è andata a cercare. Condivido l’analisi DI Giornalettismo che invita a definire superato il limite e a non smettere di scandalizzarsi di fronte a articoli come quello di Feltri:

“Ma ormai il limite è superato. Assumiamoci le nostre responsabilità, anche come categoria, e non limitiamoci a fare le smorfie quando arriviamo ai passaggi più crudi dello scritto di Vittorio Feltri”.

  • In ultimo, mi ha colpito la meravigliosa Paola Cortellesi che ha interpretato i famosi versi della poesia “What I was wearing” di Mary Simmerling alla Camera dei deputati, in occasione della Giornata contro la violenza sulle donne. Il progetto video è stato organizzato con il centro antiviolenza Cerchi di Milano: un racconto basato sull’installazione artistica come viaggio dentro alle storie e agli abiti di donne sopravvissute alla violenza sessuale. Nel 2017, la Kansas University (KU) aveva già tratto ispirazione dalla stessa poesia per realizzare la “What Were You Wearing?” Student-Survivor Art Installation: una mostra che metteva l’accento sulle inutili e pungenti domande che le vittime di violenza subiscono quando denunciano.

Struggenti gli ultimi versi:

“Se fosse cosi semplice,
se solo potessimo
mettere fine agli stupri
cambiando i vestiti.

Ricordo anche
ciò che indossava lui
quella notte
anche se
a dire il vero
quello nessuno
me lo hai mai chiesto”


L’interpretazione commovente di Paola in italiano nel video qui sotto 

Qui la poesia originaria:

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