Great Exhaustion, Karōshi, Stanchezza Collettiva.

Viene prima il nome o la realtà?

La linguistica insegna che dare nome alle cose categorizza la realtà. La realtà è li, ma senza un nome manca la presa di consapevolezza che ne legittima l’esistenza.

La Grande Stanchezza sta diventando l’evento più politico della nostra epoca, un fiume invisibile che ovunque cerca un nome, una definizione.

La scorsa settimana a Le Parole di Gramellini, il prof. Vecchioni ha coniato l’espressione “stanchezza della speranza” per definire la sensazione che vede negli occhi dei suoi studenti; negli occhi di tutti noi millenials lavoratori cresciuti con il mito del sacrificio “formativo” che avrebbe dovuto essere ripagato da un mondo del lavoro e una società che si nascondono dietro la fatidica frase “non è il momento”.

Questo articolo di Marie Claire aggiunge tasselli di riflessione molto interessanti e descrive in maniera semplice ed efficace l’epoca del burnout come esperienza collettiva, l’esaurimento nervoso come un nuovo spazio pubblico in cui anche divertirsi è diventato un atto performativo.

https://www.marieclaire.it/attualita/news-appuntamenti/a43017071/burnout-collettivo-cos-e/?fbclid=PAAaYLwjGhYHxlgnRVjpC1N0IeurE6KhcAjgA0xcwu8sNgKAsc-dl27lnkIQU

A me ha colpito tantissimo.

Che ne pensate ?

Gli sguardi smarriti dei ragazzi a scuola hanno bisogno di senso, di semplice senso della vita, e sono anche disposti ad ammettere che Dante glielo fornirebbe: ma se il cammino da fare è così lungo, e così faticoso, e così poco congeniale alle loro abilità, chi gli assicura che non moriranno per strada, senza mai arrivare alla meta, vittime di una presunzione che è nostra, non loro? Perché non dovrebbero cercarsi un sistema per trovare l’ossigeno prima e in modo a loro più congeniale?

(I Barbari, A. Baricco)