Il 2021 non è iniziato bene per le donne.
Non è una novità, quando c’è una crisi o una guerra alle donne va sempre “un po’ peggio”. Di solito si avanzano le spiegazioni più disparate per sottolineare differenze di genere che spaziano dalla biologia, alla sociologia, alla storia, all’economia.
Sta di fatto che questi anni ‘20 anziché rappresentare finalmente il punto di arrivo di un percorso di riconoscimento dei diritti femminili, sembrano essere l’inizio di una nuova lotta rosa: se in Polonia si attacca la legge sull’aborto e si toglie di fatto alle donne il diritto alla autodeterminazione del proprio corpo, in Italia e nel mondo la pandemia è stata la nuova scusa per attaccare il ruolo lavorativo delle donne. Un ruolo che risultava già impregnato di stereotipi e di differenze retributive, ora viene messo in discussione nella sua stessa esistenza.
I dati Istat relativi al 2020 sono impietosi: “A dicembre, in particolare, c’è stata una flessione di 101mila unità. Tra le persone che hanno perso il lavoro nell’ultimo mese del 2020 ci sono 99mila donne”.
Il 98% di chi perde lavoro in Italia è donna.
E’ normale? NO. Dobbiamo preoccuparci? SI. Perché se non ci scandalizziamo più e continuiamo a cercare scuse anziché soluzioni, se continuiamo a minimizzare quanto sta accadendo non faremo altro che peggiorare la situazione, non solo quella personale delle donne, ma anche quella macro economica del paese.
In questo senso, trovo bellissimo l’articolo di Mila Spicola che parla di SHE-CESSION e pone una domanda ormai dimenticata: ma qualcuno si sta occupando di occupazione femminile in Italia?
“Non è una sorpresa, ma una previsione, per molte che da mesi scrivono di she-cession e manifestano in vario modo chiedendo un’attenzione mirata sul tema dell’occupazione femminile, non solo per motivi di strategie di genere, ma come provvedimenti specifici per contrastare un fenomeno macro economico.”
“A differenza di qualsiasi altra recessione moderna, quella innescata dalla pandemia ha creato maggior perdita di occupazione per le donne che per gli uomini, tanto che uno studio che ha fatto il giro del mondo ( The She-cession of 2020: Causes and Consequences di T. Alon et al., comparso il 22 settembre 2020 sul portale Eu-Vox del Center for economic policy research), parla, appunto, di SHE-CESSION: solo negli Usa, la disoccupazione femminile è aumentata di 2,9 punti percentuali rispetto a quella maschile“
Il fenomeno è globale e i dati del report non lasciano dubbi sulla gravità della situazione:
“Figure 1 shows the difference between the increase in women’s and men’s unemployment in all US recessions since 1949. Before 2020, all recessions were either mancessions or depressed women’s and men’s employment roughly equally. In contrast, in the 2020 recession, job losses are much higher for women. At its peak, women’s unemployment had risen by 2.9 percentage points more than men’s unemployment. This gap is much larger in absolute terms than what was observed (with opposite signs) in recent mancessions”
Se da un lato i settori professionali femminili sono quelli maggiormente impattati dalla crisi, la scelta di delegare sempre alle donne qualsiasi ruolo di cura (dagli anziani ai bimbi) ha aggravato la situazione:
“There are two primary causes of the disproportionate impact of the current recession on women’s employment. First, women’s employment is concentrated in sectors that are relatively stable in typical business cycles but were strongly affected by the shutdown and social distancing measures during the pandemic. Primary examples are ‘contact-intensive’ sectors such as restaurants, which often have a high share of female employment (Mongey et al. 2020, Albanesi et al. 2020). Second, as schools and daycare centres were shut down, parents’ childcare needs multiplied. Women have provided the majority of additional childcare during the crisis, leaving many of them unable to work (Adams-Prassl et al. 2020, Alon et al. 2020a, Collins et al. 2020”
La crisi quindi si va a innestare in contesti politici, sociali, economici che da anni si dimostrano carenti in tema di sviluppo del ruolo professionale delle donne. Nell’articolo di Mila Spicola si citano numeri agghiaccianti per l’Italia in cui da anni mancano politiche occupazionali femminili: “la relazione della ragioneria di Stato sul bilancio dello Stato, relativa al 2019, ha evidenziato come su 720 miliardi di euro di spesa complessiva la somma destinata alla riduzione dei divari di genere ammonti allo 0,3%.”
Perché è importante parlarne? Perché l’impatto di GENDER INEQUALITY durerà molto più a lungo della recessione, danneggiando non solo i posti di lavoro già esistenti, ma anche quelli futuri.
Molto interessanti le soluzioni immediate proposte nell’articolo “The impact of the coronavirus pandemic on gender equality” di Alon, T, M Doepke, J Olmstead-Rumsey and M. Tertilt:
Cosa possiamo fare noi? Innanzitutto parlarne.
Poi ricordare che la pandemia ci ha lasciato altre due insegnamenti:
RAPIDITA’ e EMPATIA quindi necessarie per PRIORITIZZARE il tema dell’occupazione femminile nello stesso modo in cui si cercano di affrontare problemi sanitari urgenti.
Per le donne di oggi e quelle di domani.
Photo credit: Foto di Andrea Piacquadio