Lo storytelling diventa storybeing. Sempre più il contenuto diventa espressione dell’anima dei brand e ne definisce autenticità e coerenza. Così Gucci fa scuola nel mondo del branded entertainment fondendo cinema e moda in una visione che si definisce proprio nella perdita dei propri confini.
Una realtà-visione che si definisce nella negazione stessa di qualsiasi categoria. Una atmosfera surreale sognante, fuori dal tempo in cui ogni classificazione scompare. Ecco cosa ho pensato guardando il primo episodio di “Overture of something thath never ended”, la miniserie in 7 episodi con cui Alessandro Michele ha deciso di mostrare la nuova collezione Gucci e di rivendicare un tempo “altro” per la creatività.
Gli episodi saranno disponibili uno al giorno durante il Gucci Fest, festival di moda e cinema digitale, che si svolgerà dal 16 al 22 novembre.
Girata a Roma e co-diretta dal regista Gus Van Sant e dal direttore creativo della maison Alessandro Michele, la serie in sette puntate ha come protagonista l’attrice, artista e performer Silvia Calderoni e vede la partecipazione di altri volti noti vicini al brand fra cui il critico d’arte Achille Bonito Oliva, la coreografa Sasha Waltz, i musicisti Billie Eilish, Harry Styles e Florence Welch.
Nell’epoca di TikTok e del potere del video da 1 minuto, il primo episodio AT HOME è un fashion- film di 18 minuti che si riappropria del valore del tempo, sia nel contenuto che nella forma.
E’ questo contesto che la protagonista incarna quello che lo scrittore e filosofo transgender Paul B Preciado racconta da una TV gracchiante: “L’invenzione di una coscienza alternativa, una relazione di soggettività, dissente del genere”.
In che modo il film reinterpreta la sfilata?
Come racconta HarperBazar: “La protagonista si aggira per un appartamento romano con una tuta in tulle trasparente nella quale dormiva, indossa poi un abito in stile anni 70 a tinte pastello, decorato da cristalli. Completa il look con una cuffietta rosa tempestata di paillettes. Scende a prendere la posta e dentro ci trova gli inviti alle sfilate Gucci degli ultimi 5 anni.Una volta tornata in casa, getta dal balcone un vestito di seta rossa a motivi floreali. Appartiene alla prima collezione di Alessandro Michele per Gucci, l’Autunno/Inverno 2015.
È chiaro, anche da altri dettagli indossati dai coinquilini della protagonista, che non c’è troppa distinzione tra una vecchia collezione e una nuova, tra passato e presente: il “nuovo” è sempre esistito, in forme leggermente diverse, e nel momento stesso in cui una collezione nasce fa già il suo ingresso nel passato”
Se lo IAB forum 2020 ha parlato di metaverse, come luogo non luogo tra digitale e fisico, la moda ci ricorda che in questa nuova era anche il tempo perde i propri confini è destinato a cambiare. Lo aveva annunciato Alessandro Michele a Maggio rivendicando un tempo “altro” per la creatività:
“Sto realizzando – spiega il designer – che questa possibilità di raccontare non può essere costretta dalla tirannia della velocità. Ora sappiamo che era troppo furioso il nostro fare, troppo insidiosa la nostra corsa. È in questa rinnovata consapevolezza, che sento l’esigenza di un tempo mio, svincolato da scadenze etero-imposte che rischiano di mortificare la creatività”.
Facendo riferimento all’emergenza sanitaria da Covid-19, Michele puntualizza il bisogno di rallentare i ritmi produttivi: “Ho deciso di costruire un percorso inedito, lontano dalle scadenze che si sono consolidate all’interno del mondo della moda e, soprattutto, lontano da una performatività ipertrofica che oggi non trova più una sua ragion d’essere. È un atto di fondazione, audace ma necessario, che si pone l’obiettivo di edificare un nuovo universo creativo. Un universo che si essenzializza nella sottrazione di eventi e si ossigena nella moltiplicazione di senso”.
Una sottrazione che non ammette più ritmi imposti, ma rivendica invece un’autonomia completa: “Nel mio domani, abbandonerò quindi il rito stanco delle stagionalità e degli show per riappropriarmi di una nuova scansione del tempo, più aderente al mio bisogno espressivo. Ci incontreremo solo due volte l’anno, per condividere i capitoli di una nuova storia. Si tratterà di capitoli irregolari, impertinenti e profondamente liberi. Saranno scritti mescolando le regole e i generi. Si nutriranno di nuovi spazi, codici linguistici e piattaforme comunicative. Non solo. Mi piacerebbe abbandonare l’armamentario di sigle che hanno colonizzato il nostro mondo: cruise, pre-fall, spring-summer, fall-winter. Mi sembrano parola stantie e denutrite. Sigle di un discorso impersonale, di cui abbiamo smarrito il senso. Contenitori che si sono progressivamente staccati dalla vita che li aveva generati, perdendo aderenza con il reale”